di Ilaria De March
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Come ri-organizzare lavoro, welfare e cura in un’Italia che decresce? Questa è la domanda a cui l* relator* della seconda sessione della prima giornata della conferenza Beyond Growth Italia di Venerdì 19 Aprile 2024 hanno provato a dar risposta, moderati da Marco Deriu, docente dell’università di Parma.
Deriu ha aperto la sessione mettendo in luce che ad oggi esistono molte difficoltà nel parlare di decrescita, dovute ai rischi percepiti e ai conflitti su valori e le prospettive di vita. Per superare queste difficoltà occorre ampliare il dibattito pubblico e creare un confronto sul significato di benessere e su quegli elementi indispensabili a costituire una “buona vita”. Questo significa creare una riflessione non più solo sui mezzi necessari a raggiungere “maggior” benessere, concepito in ottica quantitativa: più servizi, più soldi, più produzione, più lavoro. Significa piuttosto mettere in discussione gli obiettivi sociali ed economici che abbiamo finora perseguito, acquisendo più consapevolezza dei fattori qualitativi che servono a migliorare il benessere della nostra società: che tipo di lavoro vogliamo? Che spazio vogliamo dare alla cura? Che aspetto hanno le città in cui vogliamo vivere? Rispondere a queste domande è fondamentale in una fase in cui il paradigma della crescita sta perdendo smalto, ma continua a giocare un ruolo fondamentale, nonostante l’aumento delle disuguaglianze e della precarizzazione.
Roberta Cucca
La prima relatrice, Roberta Cucca, professoressa presso la Norwegian University of Life Sciences ci parla di welfare sostenibile, un tema di cui abbiamo scritto qui. Il concetto di welfare sostenibile nasce dalla consapevolezza che i sistemi di welfare così come li conosciamo sono in una fase di crisi, dovuta al cambiamento del funzionamento dei sistemi finanziari e dei mercati del lavoro. A fronte di queste crisi e dell’aumento della precarizzazione, negli ultimi decenni, il welfare è stato riformato seguendo strategie di ricalibratura e di riduzione della spesa, rifiutando strategie di espansione. Inoltre, minacciati dalla crisi climatica, i governi stanno attuando politiche ambientali che non tengono conto delle fragilità esistenti nel tessuto sociale, acuendo le già profonde pesanti disuguaglianze sociali. Tali modalità di azione hanno creato lo spazio per legittimare la retorica della crescita come soluzione alle diverse crisi. Tuttavia, per procedere e superare queste crisi, è necessario pensare ad un nuovo tipo di welfare che non sia dipendente dalla crescita economica: è indispensabile affrontare i dilemmi sulla distribuzione dei salari e occuparsi di riorientare le politiche sociali, creando maggiori sinergie con le politiche ambientali.
Un esempio è la questione del diritto alla casa e delle disuguaglianze socio-spaziali, temi che si fanno sentire in maniera sempre più forte. I modelli contemporanei di sviluppo urbano creano forti disuguaglianze e problemi sociali e ambientali: stiamo assistendo infatti allo spopolamento delle aree rurali e un'emigrazione di massa verso città attrattive. Tuttavia, l’accoglienza all’interno delle grandi città è ostacolata dall’aumento del valore e del costo degli immobili. Questi aumenti sono spesso anche dovuti a politiche ambientali di efficientamento energetico. Tali politiche influenzano a tal punto il valore immobiliare che alcun* abitanti sono costretti a lasciare gli immobili perché impossibilitati a pagare costi così alti, un fenomeno che ha preso il nome di renoviction, una crasi tra renovation (rinnovamento) ed eviction (espulsione). Questo è un caso che rivela chiaramente la necessità di un welfare in grado di integrare aspetti sociali e ambientali, mettendo un freno ai fenomeni di gentrificazione verde e spostandosi verso interventi più radicati sul territorio.
Simone D’Alessandro
Rimanendo sul tema di welfare e politiche del lavoro, Simone d’Alessandro presenta il lavoro modellistico che svolge come docente presso l’Università di Pisa. Il suo gruppo di ricerca si occupa di sviluppare modelli economici integrati, che permettano di offrire, in maniera olistica, dati utili a sviluppare proposte politiche oltre la crescita. I suoi modelli, a differenza dei modelli tradizionali, permettono di offrire una visione più eterogenea e sistemica delle strutture economiche, includendo potenziali feedback positivi o negativi generati dall’introduzione di specifiche politiche pubbliche. Un esempio è il seguente: se vengono attuate politiche energetiche che hanno un effetto negativo sulla disuguaglianza sociale (si pensi al caso dei gilet gialli francesi), questo creerà malcontento , riducendo il numero di persone disponibili a sostenere politicamente la transizione; questo aumento del malcontento costituisce una potenziale barriera che deve essere integrata nel modello per delineare degli scenari d’azione più realistici. Questi modelli, concentrandosi sui cambiamenti necessari sia sul lato della domanda che dell’offerta, provano a rispondere alla domanda sul come poter arrivare alla trasformazione socio-ecologica. Per saperne di più di modelli di macroeconomia ecologica, questo articolo riassume uno dei lavori che il professor d’Alessandro ha svolto per il Movimento Decrescita Felice.
Giacomo D’Alisa
Spostandosi sul tema della cura, Giacomo D’Alisa, docente di ecologia politica presso l’Università Autonoma di Barcellona, presenta il contenuto di un policy brief diretto alle politiche europee. Ringraziando il lavoro di tante femministe che hanno ispirato la sua ricerca, tra cui Selma James, Antonella Picchio e Silvia Federici, ci parla di questa proposta politica che vuole mettere il tema e la pratica della cura al centro della transizione ecologica. D’Alisa riflette su come il concetto di cura ha trovato maggiore spazio durante il lock-down, ma come in seguito siamo tornat* in fretta a spostare lo sguardo su altre questioni. In particolare, nel Green Deal europeo, l’aspetto del lavoro di cura è quasi del tutto assente, ad eccezione di alcuni obiettivi dichiarati come quello di garantire un equilibrio tra vita e lavoro e di garantire diritti alle lavoratrici della cura.
D’Alisa condivide una serie di dati sulla quantità delle ore spese nel lavoro di cura da parte delle donne confrontandoli con i dati relativi al lavoro di cura svolto dagli uomini a livello europeo, un ammontare che rappresenta una penalità per le donne e al tempo stesso un debito che gli uomini hanno nei loro confronti. Perciò, per la prossima legislatura europea, propone di costituire un patto per la cura e di utilizzare la cura come pilastro dello stile di vita europeo. In termini concreti, questo significherebbe istituire un reddito di cura universale. A differenza del reddito di base universale, che, come potete leggere anche qui, verrebbe fornito a prescindere dalle attività lavorative, il reddito di cura si costituisce come una rivendicazione del lavoro che si fa continuamente, ma che non viene riconosciuto. Questo reddito non costituisce un’alternativa a quello di base ma rappresenta un sovrappiù. Così, calcolando che il reddito di base universale mediano (o medio?) in Italia sarebbe di 850 euro mensili, alle donne verrebbero forniti in totale 1000 euro, a fronte di un 650 euro erogati a uomini. Questo genererebbe ad esempio un aumento delle capacità reddituale delle pensionate, in un’ottica di giustizia secondo cui coloro che hanno contribuito di più e ricevuto di meno possano essere finalmente ricompensate.
Quello che abbiamo imparato dalla seconda sessione della prima giornata Beyond Growth Conference si può riassumere in questi termini: in una società post-crescita avremo la possibilità di lavorare meno ore, avremo il diritto e dovere di mettere il lavoro cura al centro delle politiche pubbliche, e sarà necessario pensare alle politiche ambientali e sociali insieme, per fare in modo che le prime non acuiscano le disuguaglianze sociali, limitando gli effetti delle seconde.
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