Le politiche ambientali e di transizione ecologica creano spesso dissensi dovuti alla convinzione che molti posti di lavoro verranno tagliati e tanti lavoratori si ritroveranno in difficoltà. I dissensi aumentano quando si parla di decrescita. Come spiegato qui infatti, la decrescita è erroneamente associata alle recessioni economiche e le recessioni sono fasi di perdita di lavoro, di sicurezza economica e di benessere sociale.
I lavoratori, soprattutto di settori maggiormente inquinanti, dipendendo dal reddito lavorativo per il loro sostentamento, percepiscono le politiche ambientali e i movimenti ambientalisti come una minaccia, come i loro nemici all’interno di un presunto conflitto tra il lavoro e l’ambiente. Quello che la decrescita vuole mostrare è che il conflitto lavoro e ambiente non esiste, o meglio, che è stato creato artificialmente. Si potrebbe dire che il vero conflitto è quello tra capitale e ambiente. È il capitale che, per garantire la sua stessa accumulazione e la generazione di profitti, sfrutta al tempo stesso ambiente e lavoro. Il capitale estrae dal lavoro e dalla natura più di quanto restituisce, ad una velocità tale da non permettere la loro completa riproduzione.
Nelle politiche ambientali mainstream si è iniziato a parlare di transizione giusta, una transizione che non lasci indietro nessuno. Traslato nel linguaggio lavorativo, ciò significa una transizione che crei nuovi posti di lavoro in settori competitivi per l’economia verde. La decrescita include e al tempo stesso va oltre a questo. La scienza ci dice che per ripristinare e mantenere l’integrità degli ecosistemi è opportuno consumare meno, produrre meno e di conseguenza lavorare meno. Lavorare meno inoltre non è solo una politica chiave per la sostenibilità ambientale, ma un’esigenza e desiderio sempre più sentito dalle nuove generazioni. Non è forse l’obiettivo dell’aumento della produttività e dell’innovazione tecnologica quello di liberare del tempo da dedicare ad altro rispetto al lavoro retribuito? Così prevedeva anche Keynes nel suo saggio, Possibilità economiche per i nostri nipoti. Ma le sue previsioni, per quanto auspicabili, si sono rivelate scorrette: lavoriamo tanto quanto prima, se non di più.
Ma se lavorare di meno giova noi e l’ambiente, allora dovremmo prendere questa questione più sul serio. E così fa la decrescita, che non essendo un sinonimo di recessione, non si tratta di una condanna alla perdita di reddito e sostentamento causata dalla riduzione dei posti di lavoro. Per avere una transizione che sia realmente giusta, la decrescita prevede non solo la creazione di nuovi posti di lavoro in specifici settori, ma anche la smobilitazione del lavoro dannoso all’ambiente e la ristrutturazione del lavoro, secondo il principio: lavorare tutt* e lavorare meno. E non solo, quello che viene proposto è anche lo sganciamento della ricezione di reddito dal lavoro, al fine di garantire un reddito e una vita dignitosa anche a chi si trova nell’assenza di reddito da lavoro per periodi di tempo più o meno lunghi.
In quest’ottica si possono inquadrare le proposte politiche di riduzione dell’orario lavorativo, di introduzione di un reddito di base universale e le proposte di job guarantee (lavoro garantito). Come verrà spiegato nel secondo panel della conferenza, l’obiettivo è quello di ristrutturare l’organizzazione del lavoro e al tempo stesso modificare il funzionamento del sistema di welfare, per garantire che tutt* possano lavorare, ma lavorare meno, e lavorare meglio. [1]
[1] Tratto e rielaborato da https://quadernidelladecrescita.it/2024/01/01/la-decrescita-come-lotta-di-classe/
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