Piano Mattei: chi ci guadagna?

Riproponiamo un articolo scritto da John Gussoni e pubblicato da Echoraffiche il 22/02/2024
Decrescita · venerdì, 22 mar 2024
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Il lato oscuro delle politiche energetiche.

Annunciato da mesi, presentato poche settimane fa, l’ancora misterioso Piano Mattei ha da subito suscitato diverse reazioni, tra quelle entusiaste dei principali esponenti politici europei, a quelle più stizzite di alcuni omologhi africani.

Una primissima critica potrebbe nascere dalle cifre destinate: 5,5 miliardi di euro, provenienti tutti da fondi già esistenti, di cui 2,5 miliardi dai fondi per la cooperazione internazionale, e, ironia della sorte, 3 miliardi dai fondi per il clima stipulati dall’allora governo Draghi nel 2022. Infatti l’Italia, nella COP26 di Glasgow, aveva concordato di smettere di sussidiare direttamente investimenti nel fossile proprio entro il 2022. Ma a questo impegno non è conseguito nulla di concreto, anzi: ad oggi l’Italia, tramite SACE, è il primo investitore europeo in combustibili fossili, il sesto al mondo.

Infografica sul Piano Mattei, cifre, in quali aree si investe, quali paesi ne beneficiano, paesi donatori.

Credits: @DontGasAfrica X/Twitter.

Piano Mattei e combustibili fossili

L’opposizione non è limitata solo all’ambito istituzionale: anche parte della società civile, tra Africa ed Europa, vede nel Piano Mattei l’ennesima iniziativa di stampo estrattivista che depreda il continente africano a vantaggio di Stati, ma soprattutto di compagnie petrolifere, del nord Globale.

Che cosa c’entrano le compagnie petrolifere con questo piano? Aldilà dell’intitolazione del piano a Enrico Mattei, l’ENI è sempre stato coinvolto nelle relazioni del governo italiano con i paesi africani negli ultimi anni, Come si è potuto vedere sia nei viaggi istituzionali dei mesi scorsi, come ad esempio in Mozambico e in Congo, sia durante la presentazione del Piano Mattei in Senato. Nulla di cui stupirsi: ENI nel 2021 risulterebbe essere la seconda multinazionale energetica attiva in Africa, e il 60% della sua produzione globale proverrebbe dall’Africa.

Intervistato dal Financial Times, l’amministratore delegato di ENI Claudio De Scalzi avrebbe detto, a proposito dei paesi africani: «Noi non abbiamo energia e loro ce l’hanno. Noi abbiamo una grande industria e loro devono svilupparla… C’è una grossa complementarietà».

Inoltre, la Cabina di regia citata dal DL161/23, che istituisce il suddetto piano, prevede che ne facciano parte, oltre al presidente del Consiglio, al ministro degli Esteri e a diverse altre figure istituzionali, anche Cassa Depositi e Prestiti, SACE, e «rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica».

Don’t Gas Africa ripetuto più volte.

Immagine da @DontGasAfrica X/Twitter.

La società civile africana risponde

Don’t Gas Africa, una campagna guidata da settori della società civile africana per liberare il continente dall’estrazione di combustibili fossili, ha firmato, assieme a un’ottantina di altre sigle, una al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla prima ministra Giorgia Meloni e al ministro degli esteri Antonio Tajani, contenente la richiesta di stipulare patti di collaborazione per lo sviluppo in cui i paesi africani siano protagonisti attivi. L’obiettivo è raggiungere una transizione ecologica giusta e autodeterminata dal punto di vista sia energetico che alimentare.

L’appello non è una tappa finale, ma è solo l’inizio: nelle settimane scorse, diversi movimenti ed esponenti della società civile africana hanno partecipato ad un dibattito in diretta su uno spazio Twitter/X proprio riguardo a questa questione. Tra gli altri, sono intervenuti Recommon (associazione italiana che lotta contro il saccheggio dei territori), Laudato Si’ Movement, (movimento ambientalista di stampo cattolico), Fadhel Kaboub (economista tunisino e professore associato di economia alla Denison University, in Ohio), JA! Justicia Ambiental Moçambique (organizzazione non profit che mira a coinvolgere direttamente la popolazione nelle decisioni riguardo politiche per lo sviluppo in Mozambico e nel mondo). Il denominatore comune è il rifiuto delle politiche estrattiviste del Nord Globale e la richiesta di una transizione ecologica giusta ed equa, guidata e gestita dal continente africano, secondo le proprie esigenze e possibilità. Infatti, grazie alla disponibilità di materie prime, in teoria l’Africa potrebbe soddisfare la sua domanda energetica interna ed eventualmente esportare il surplus. Ma a causa della mancanza di infrastrutture industriali adeguate e del fatto che tali materie prime vengano destinate principalmente ai mercati del Nord globale, gran parte della popolazione nei paesi produttori non ha nemmeno accesso all’energia elettrica. Oltre al danno poi, la beffa: ENI sta investendo nella produzione di biocarburanti, acquistando diversi terreni agricoli in Africa. Ha senso una produzione del genere in paesi dove la malnutrizione è ancora drammaticamente diffusa?

Intervento di Ashley Kitisiya, attivista del Laudato Si’ Movement.

@DontGasAfrica X/Twitter.

Piano Mattei e la questione del debito

Perché si verificano situazioni di questo tipo? La questione è banale quanto emblematica: i paesi del sud globale sono incastrati in quella che viene chiamata «trappola del debito».

Nel secondo dopoguerra, dopo aver raggiunto l’indipendenza, le ex-colonie si sono ritrovate ad avere grossi debiti a causa del loro sistema economico-produttivo, basato sull’esportazione di materie prime e fortemente dipendente da mezzi di produzione e investimenti dei paesi ex-colonizzatori. Istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM), stabilite con gli accordi di Bretton-Woods nel 1944, hanno avuto e mantengono un ruolo primario nell’alimentare a suon di prestiti e garanzie un circolo vizioso che non ha portato ad una riduzione, bensì ad un continuo aumento del debito.

Le ex-colonie diventano così dipendenti dai finanziamenti e dalle politiche del Nord globale, e ne subiscono anche gli impatti ambientali e sociali, tra cui devastazione di territori, trasferimenti forzati, conflitti. Ne consegue anche un costante e crescente flusso migratorio, al quale il Piano Mattei, a modo suo, cerca di rispondere. Ma un piano del genere può soltanto portare all’aggravarsi della crisi climatica e dei flussi migratori da essa causati.

Una soluzione, proposta già da molti, tra cui anche la campagna Debt for Climate, è l’abolizione del debito delle ex-colonie (ne avevo già parlato qui) in quanto illegittimo. Soltanto con un’emancipazione del continente africano dalla trappola del debito si potrà avere una transizione ecologica giusta ed equa e dare una possibilità alla nostra specie di sopravvivere alla crisi climatica.

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