La guerra come esito di un sistema ossessionato dalla crescita

Ripubblichiamo un articolo scritto da Mario Agostinelli, Bruna Bianchi, Enrico Euli e Daniela Padoan e pubblicato dal Movimento per la Decrescita Felice il 19 Maggio 2022
Decrescita · sabato, 23 mar 2024
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Nel 2021 le spese militari degli stati ammontavano a più di 2 mila miliardi di dollari, pari al 2,2% del Pil mondiale. Per avere un’idea del loro peso basti pensare che le spese per l’istruzione nel mondo coprono il 3,5% del Pil. In Italia le spese militari ammontano a 104 milioni di euro al giorno. Le guerre – tutte le guerre, tutti gli eserciti, tutte le forme di violenza fisica immaginabili – sono conseguenze dirette di relazioni di potere fondate sulla supremazia, sulla dominazione, sulla inferiorizzazione, sull’umiliazione e l’annichilimento dell’altro diverso da sé, percepito come nemico esistenziale. Sradicare la guerra dal novero delle opzioni politiche significa perciò bonificare il modo di pensare sé stessi in relazione con i propri simili e con l’intero mondo naturale. La pace è possibile. Liberarci per sempre dalle guerre non è un obiettivo utopico irraggiungibile. La civilizzazione non è altro che la costruzione di un ordine mondiale fondato sulla pace, sulla convivenza nonviolenta, sulla equa condivisione dei beni della Terra, sulla loro responsabile presa in cura, sul rispetto della vita umana e non umana. Questi profondi valori comuni possono diventare norme condivise, codici di comportamento morali socialmente riconosciuti e apprezzati, unici veri antidoti alle cause che scatenano le guerre – l’odio, l’avidità, l’indifferenza.

Dalla notte dei tempi in cui una parte del genere umano ha cercato di imporre il proprio dominio c’è chi giustifica la violenza fisica come connaturata alla “natura umana” – come se esistesse un codice genetico del male o una sindrome psicotica aggressiva che colpisce le masse. Partendo da questo assurdo assunto molti sostengono che eserciti e guerre sono non solo inevitabili, ma necessari a regolare le relazioni tra le comunità umane. Siamo così giunti all’illusorio paradosso di promuovere il riarmo con l’intento di difendere la pace. In tal modo viene giustificata la produzione di strumenti di sterminio sempre più sofisticati, micidiali, costosi, indistinguibili nel loro uso di difesa o di offesa, a bassa o ad alta intensità, da impiegare in scenari locali o globali. Il “complesso militare-industriale”, che già spaventava un presidente degli Stati Uniti in piena guerra fredda, è oggi più che mai potente e in grado di determinare le relazioni internazionali tra gli stati e di indirizzare l’evoluzione tecnologica (geoingegneria, editing genetico, telecomunicazioni, controllo dello spazio).

Non c’è nulla di congenito nell’istinto di sopraffazione, di distruzione e di morte che spinge alcuni esseri umani – generalmente maschi e collocati nei ranghi sociali privilegiati – ad esercitare ruoli di potere attraverso la violenza. Non crediamo corretta nemmeno la metafora del virus che saltuariamente colpirebbe l’homo sapiens portandolo alla pazzia. La guerra non è una patologia. Al contrario riteniamo che sia il portato logico, deliberato e strutturato di organizzazioni sociali che fondano la loro esistenza sulla predazione, sull’appropriazione, sullo sfruttamento, sulla colonizzazione dei più deboli.

La guerra è solo l’esito più evidentemente catastrofico di un sistema sociale, culturale ed economico intrinsecamente distruttivo e biocida. Un sistema malato di avidità, ossessionato dalla crescita dei valori economici e che spinge alla competizione permanente per l’accaparramento delle risorse e dei mercati, provocando, oltre alle guerre, il surriscaldamento globale, la distruzione della biodiversità, l’avvelenamento dei mari, dell’aria e della terra, le pandemie da zoonosi, ecc.

Il sistema socioeconomico che si è affermato con l’avvento del capitalismo industriale (concentrazione e gerarchizzazione del comando, universalizzazione e accrescimento infinito dei sistemi di sfruttamento delle risorse, ricerca dei massimi rendimenti attraverso la competizione tra imprese, territori, individui) ha introiettato ed elevato alla massima potenza le modalità d’azione improntate sul paradigma del dominio e della violenza. D’altra parte, molte banche, molti fondi di investimento e molte aziende “civili” nel settore tecnologico, meccanico, energetico, informatico, automobilistico e aerospaziale sono fortemente coinvolte in finanziamenti, produzioni e commerci di armi e componentistica militare. L’economia di guerra diventa la continuazione e il prolungamento dell’economia di mercato. Si evidenzia così sempre più l’integrazione e la connessione tra sistemi di “produzione” e sistemi di “distruzione” in una logica di competizione sempre più distruttiva.

Lo diciamo chiaro: non ci potrà mai essere “ripudio” della guerra senza vera emancipazione da tutto ciò che genera la guerra. La guerra non è addomesticabile, regolamentabile, giurisdizionabile. Non è accettabile alcuna jus ad bellum. La guerra è in sé un crimine. La guerra va abolita in radice, attraverso il completo disarmo, a partire dalle armi nucleari, antiuomo, chimiche, batteriologiche, robotizzate… al fosforo bianco, all’uranio impoverito, ecc. ecc. La sola forma efficace di dissuasione (“deterrenza”) e di prevenzione della guerra è la proibizione dell’uso delle armi. Ogni Stato faccia il proprio passo, unilateralmente, per proprio conto e, assieme agli altri, cerchi di ricreare una autorità mondiale in grado di imporsi sui singoli Stati e di interporsi tra gli Stati belligeranti, come avrebbe dovuto essere l’Onu secondo la sua carta istitutiva.

Come stiamo vedendo oggi, annichiliti, la “guerra moderna” coinvolge, colpisce e uccide soprattutto i “civili”, gli abitanti rimasti intrappolati nelle città, le persone intente nelle attività quotidiane di sussistenza e di assistenza. Ai morti si aggiungono i feriti e i profughi. L’obiettivo delle guerre, così come delle ritorsioni, non sono i militari e nemmeno i loro governi, ma le popolazioni. Le guerre sono un olocausto di vite umane e non umane, uno spreco gigantesco di beni economici e di risorse pubbliche, un aggravamento indicibile delle condizioni ambientali naturali, un fattore determinate del biocidio in atto, del superamento dei limiti ecologici planetari del sistema Terra.

Le forze armate non sono tenute a fornire dati sulle emissioni di gas climalteranti – gentilmente tenute fuori dagli obblighi degli Accordi di Parigi. Ma secondo alcune stime, il “carbon boot-print” del comparto della difesa a livello mondiale, anche quando non è impegnato in azioni di guerra (attività di routine, equipaggiamenti, esercitazioni, trasporti, ecc.), contribuirebbe con il 5% delle emissioni di CO2 di origine antropica. Secondo Raffaele Crocco (direttore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti) il 20% del degrado ambientale nel mondo è dovuto alle attività militari. Il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti è il più grande consumatore istituzionale di petrolio.

Il sentiero indicato dal pensiero della decrescita emerge sempre più come realista e ragionevole. Perché capace di tenere assieme ogni dimensione della vita, individuale e collettiva, in un progetto di futuro desiderabile oltre che necessario. Il progetto politico e sociale della decrescita fa innanzitutto appello alle risorse etiche di ciascun individuo. Come scriveva Petra Kelly: «Mentre combattiamo contro la guerra più grande, la guerra A, B o C, dobbiamo, allo stesso tempo, combattere anche contro le piccole guerre, le guerre di violenza che si svolgono ogni giorno nelle nostre strade dove le donne temono di camminare da sole di notte, che si verificano ogni volta che una donna viene violentata o picchiata, che si verificano ogni volta che un bambino viene colpito. Non solo dobbiamo cambiare lo status quo della cosiddetta violenza istituzionalizzata, ma dobbiamo anche cambiare noi stessi fondamentalmente prima di poter cambiare la vita sociale e politica».

La decrescita mira a trovare una relazione risanata, mutuale e solidale tra le persone e tra loro e l’ambiente naturale. Decrescita significa de-militarizzare i conflitti, de-colonizzare le menti, de-economicizzare la società, disconoscere ogni forma di potere costituito centralmente e gerarchicamente. In altri termini la decrescita si inscrive nel più largo movimento plurale e pluralistico di liberazione della condizione umana da ogni tipo di costrizione ed eterodirezione. Un mondo di altri mondi.


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