Decrescita, Giustizia Climatica e Giustizia Ambientale

Conferenza · martedì, 30 apr 2024
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di Simone Pote`

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La terza ed ultima sessione della seconda giornata della conferenza Beyond Growth Italia di sabato 20 Aprile 2024 è stata dedicata al rapporto tra decrescita e giustizia climatica e ambientale: un legame dalle radici profonde e in continuo sviluppo.
In effetti, la decrescita ha origine proprio dalla consapevolezza che il sistema socio-economico attuale, fondato sull'ideologia della crescita, sta producendo una catastrofe ambientale : citato anche da Letizia Molinari, attivista di Alter Kapitae che ha moderato quest'ultimo incontro, già nel 1972 il noto rapporto del Club di Roma “The Limits to Growth” constatava l'incompatibilità tra crescita infinita e limiti planetari. Nel 2009, lo Stockholm Resilience Centre definiva, riattualizzandoli, i cosiddetti “planetary boundaries”, proprio per riferirsi a quelle soglie insuperabili che costituiscono il tetto della famosa ciambella di Kate Raworth. Queste fonti sono ben presenti nelle bibliografie di qualunque pubblicazione sulla decrescita, oltre che nei cuori degl* attivist* che, dai primi anni del 2000 in poi, hanno iniziato a manifestare nel nome di quello “slogan politico con implicazioni teoriche”, come lo definì Latouche, che è la decrescita.
Oggi tuttavia la decrescita, dopo oltre 15 anni di pubblicazioni accademiche, è molto di più: un vero e proprio quadro interpretativo, una prospettiva politica utopica che può informare l'analisi e l'azione di chi lotta per un mondo diverso, proprio a partire da* tant* giovani coinvolt* nei movimenti per la giustizia climatica e ambientale.
Ecco quindi che in quest'ultimo panel sono intervenut* quattro attivist* legat* a movimenti che, pur nella loro diversità strategica (ma, con Olin Wright, la decrescita ammette pluralismo strategico!) e contenutistica (per i diversi temi trattati), possono ritrovare nella decrescita un terreno comune su cui convergere nella loro critica allo status quo.

Federico Schirchio - Ecologia Politica Network

Il primo intervento è stato a cura di Federico Schirchio, di Ecologia Politica Network, realtà che “nasce dalla volontà di creare convergenza tra pensiero decrescitista e paradigma marxista”, motivata dalla necessità di tenere unite le storiche battaglie ambientaliste (no tav, no tap...) con la rinnovata ondata ecologista prodotta dal 2019 in poi con la nascita dei Fridays For Future. Con un piede dentro l'accademia e uno nell'attivismo (altro punto in comune con la storia della decrescita, definita da Joan Martinez Alier come activist-led science), questo network tenta di inserire la narrazione ambientalista originatasi nel nord Europa nel nostro contesto Italiano in cui è più forte il “ricatto occupazionale”, ovvero la contraddizione tra modello di sviluppo economico e impatto sull'ambiente e sulla salute, di cui la questione dell’ILVA ‘e un esempio. La sfida, come proposta da Federico, è proprio quella di rendere attuale il discorso sulla tutela dell'ambiente, mettendo in evidenza il nesso con le altre grandi sfide della modernità: dalle pandemie, la cui origine antropica obbliga alla messa in discussione del rapporto dell'uomo col resto della natura, alle guerre, tra le cui cause si puo’ chiaramente identificare la competizione per accaparrarsi risorse energetiche, passando per le questioni di genere, come dimostrato dal fatto che in un'economia di stampo patriarcale il valore del lavoro di cura, spesso femminile, viene svalutato. Il tema della convergenza tra diverse battaglie accomunate dalla critica all'attuale modello di sviluppo è caro anche alla riflessione decrescitista, come si può vedere dalla definizione delle sette critiche alla crescita individuate da Schmelzer, Vansintjan e Vetter, nel loro libro “Il futuro è decrescita” (2022).

John Gussoni - Debt4Climate

Una di queste sette critiche è proprio al centro dell'esperienza portata da John Gussoni di Debt4Climate ed è quella detta “nord-sud”: il capitalismo attuale si è fondato e si fonda su rapporti di sfruttamento da parte del cosiddetto “Nord globale” (costituito in sostanza dagli ex-colonizzatori) a scapito del “Sud globale” (composto dagli altri territori, ex-colonizzati).
L'uso del termine “ex” non deve trarre in inganno: forme di sfruttamento ed estrattivismo internazionale sono tuttora in corso e tra queste, in particolare, come denunciato da Debt4Climate, vediamo proprio l'elevato debito finanziario del Sud del mondo nei confronti del Nord, che è all'origine di un circolo vizioso dannoso per l'ambiente e per la reale possibilità di emancipazione del Sud globale.
Il circolo vizioso descritto da Debt4Climate è chiaro: le economie del Sud, tenute sotto scacco dal guinzaglio del debito, puntano sull'estrazione di risorse dannose per l'ambiente (combustibili fossili), mettendole direttamente o indirettamente a disposizione del Nord globale, per generare crescita economica e tentare di ripagare un debito che pur non cessa di aumentare. A conti fatti, il mito della crescita, come meccanismo per giungere finalmente all'emancipazione attraverso l'appianamento del debito o, comunque, per conseguire “economie sostenibili” su cui continuare ad investire, produce benefici solo per le multinazionali del fossile e i grandi creditori (e le élite locali nei paesi del Sud globale): nonostante tassi di crescita relativamente alti, questi Paesi spendono di più per ripagare i loro debiti che per produrre servizi essenziali per i propri cittadini.
Non solo dunque, a partire dall'analisi di Debt4Climate, la crescita non è chiaramente sinonimo di aumento di benessere per chi la produce, ma la trappola del debito va rimossa a partire dalla cancellazione di quest'ultimo, per favorire una decrescita del nord globale e una decolonizzazione del sud, del tutto in linea con quanto espresso dai decrescitisti.

Filippo Sotgiu - Fridays For Future

Per Fridays For Future, è intervenuto Filippo Sotgiu, la cui analisi è fondamentale per capire i potenziali nessi tra movimenti ambientalisti e decrescita. Originatosi, come noto, da una profonda preoccupazione per le sorti del pianeta, il movimento FFF inizialmente è stato portatore di un messaggio vago nelle sue implicazioni. Tale ambiguità è stata prontamente sfruttata dalle grandi aziende alla ricerca di profitto, le quali hanno rapidamente riorientato la loro produzione in modo da assecondare le nuove preoccupazioni dei consumatori: è nato così il mito di una certa transizione ecologica, operabile grazie alla responsabilità individuale nei consumi permessa da produttori dalla rinnovata sensibilità ambientale. Inganno presto svelato: da un lato, una transizione simile non è sufficiente per rientrare nei limiti ambientali; dall'altro, è stato il famoso green-washing “che ha permesso a chi faceva soldi di continuare a farne”. Uno scenario simile, di crescenti disuguaglianze, per molti nel movimento era altrettanto distopico: presto per i FFF è diventato necessario politicizzare il discorso e rendere più chiaro il messaggio, anche a costo di perdere per strada chi si era sentit* coinvolt* solo perché “il messaggio era sufficientemente apolitico”. Ma, come hanno spesso ricordato l’attivista dei Fridays citando Chico Mendes, “l'ambientalismo senza lotta al capitalismo è giardinaggio”.
Ecco quindi che è sorta anche tra i Fridays For Future la necessità di decolonizzare il proprio immaginario, dotarsi di un'utopia alternativa, e proporre politiche pubbliche e scenari di transizione per tendere ad essa: esattamente ciò che la decrescita mira a produrre.
Non a caso, negli anni la battaglia del movimento FFF è stata anche orientata a lasciare spazio di espressione ai rappresentanti dei cosiddetti MAPA (Most Affected Peoples and Areas, o “Persone e zone maggiormente interessate”), a indicare la condivisione dell'intenzione di far convergere in un'unica battaglia l'espressione delle diverse forme di oppressione prodotte dal capitalismo.

Neré - Ultima Generazione

In ultimo, Neré di Ultima Generazione, dopo aver reiterato le analisi proposte, si è soffermata sulla necessità di esprimere l'urgenza di questi argomenti, lontani dall'essere un esercizio intellettuale, ma vera e propria forma di resistenza per non cedere alla disperazione e darsi coraggio. Per generare cambiamento, da un lato è necessario costruire pratiche democratiche, condivise, come assemblee popolari, assemblee di quartiere, cittadine, nazionali, creando coinvolgimento e proponendo alternative al modello istituzionale . Parte dell’azione di UG è quella di arricchire, grazie all’ intervento del* “facilitataru”, i lavori di gruppo per renderli “più inclusivi e quagliativi”.
Dall'altro, per non cedere di fronte alla distopia della realtà, è necessario soffermarsi su di sé, rallentando e “disturbando” i ritmi imposti da una società proiettata alla crescita. A partire da questo, Nere’ ci ha proposto un breve momento di “disturbo”: una sorta di piccola meditazione condivisa, in cui chiudere gli occhi, respirare, “ricentrarsi” e ripartire dalla visualizzazione delle proprie pratiche di resistenza attiva, a ricordarci che per produrre un futuro altro, la battaglia va combattuta anche “dentro di noi”, a partire dalla nostra capacità di ascolto del desiderio e di immaginazione delle alternative.

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