Decrescita e Giustizia Sociale, Lavoro, Cibo, Casa, Beni Comuni

Conferenza · martedì, 30 apr 2024
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di Irene Comparin

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La decrescita è spesso riduttivamente considerata un movimento ambientalista, ma il futuro post-crescita che immagina deve comprendere sia una lotta al degrado ambientale che una lotta alla disuguaglianza. Per fare questo è necessario tessere alleanze con i movimenti e le realtà che riportano la cura comunitaria al centro e che sviluppano forme di organizzazione collettiva orizzontale. Il panel 2 nella giornata di sabato 20 aprile della Conferenza Beyond Growth, moderato da Emma Marzi, aveva proprio l’obiettivo di mettere in dialogo quattro esempi di realtà radicali e radicate nel territorio per esplorare i punti di contatto con la decrescita. Francesca Gabbriellini ha parlato della vertenza GKN di Campi Bisenzio, Roberto Sciarelli e Margherita D’Andrea della Rete dei beni comuni di Napoli, Susanna Sarno di Mondeggi, la Fattoria senza padroni, infine Andrea Alzetta di Spin Time Labs. Pratiche orizzontali, comunitarie, di cura e, tutte, riappropriazioni di spazi che fanno quella politica prefigurativa di cui c’è bisogno per concretizzare il futuro già da oggi.

Lavoro ambiente, l’esperienza di GKN - Francesca Gabbriellini

Francesca è parte dei gruppi di lavoro che si interessano al processo di conversione ecologico-produttiva presso l’ex GKN di Campi Bisenzio, la fabbrica occupata a partire dal 2021 nella città metropolitana di Firenze. La GKN produceva componentistica per auto private e oggi, grazie a un percorso collettivo, sta immaginando di convertire la produzione verso bici cargo e pannelli fotovoltaici. La fabbrica era stata oggetto di un processo di delocalizzazione industriale verso il Sud unitamente a dei tentativi di licenziamento collettivo, secondo dinamiche globali di finanziarizzazione dell’economia e di ristrutturazione delle catene del valore. Il processo di reindustrializzazione che i lavoratori e le lavoratrici hanno messo in atto è quindi stato forzato e si lega ai temi della decrescita: in primo luogo perché ripensare come e cosa si produce significa interrogare il concetto di crescita, profitto e sussistenza. I gruppi di lavoro, insieme ai lavoratori e alle lavoratrici, nno messo in atto un percorso che fin da subito ha incontrato il bagaglio di saperi dei movimenti ecologisti e si è immaginata una conversione in senso ecologico. Continuare a produrre per il trasporto individuale e a propulsione fossile sembrava inattuale. Si è cominciato a prefigurare una “fabbrica pubblica e socialmente integrata”, incastonata nel territorio e capace di restituire processi di cura aumentati presso il territorio, che a sua volta aveva curato l’ecosistema di vite legato alla fabbrica a partire dalla fase dei licenziamenti. Oggi, il processo di reindustrializzazione continua ed evolve, anche se è attaccato dalla proprietà e dal lassismo delle istituzioni pubbliche che rifiutano di prendere in considerazione il piano di reindustrializzazione scritto dal basso. Il prossimo obiettivo sarà lottare per quel riconoscimento, e capire quali strumenti mettere in campo in modo da tutelare l’area di GKN da operazioni squisitamente speculative.

Rete dei Beni comuni di Napoli - Margherita D’Andrea e Roberto Sciarelli

Roberto Sciarelli e Margherita D’Andrea hanno presentato la realtà in cui sono attivi a Napoli, la Rete dei Beni comuni, un altro esempio di organizzazione della società alternativo, una rete di spazi liberati e autogestiti, riconosciuti giuridicamente ad uso civico. Nata nel 2012, la rete dei beni comuni raggruppa grandi edifici pubblici occupati e autogovernati da comunità di abitanti che li utilizzano per svolgere al loro interno attività sociali e culturali destinate soprattutto al territorio circostante e alla città di Napoli. Sono realtà caratterizzate dalla centralità del lavoro di cura, sia del territorio che dell’edificio stesso, che delle relazioni comunitarie che lì hanno luogo. Roberto ha ritenuto importante sottolineare che, anche se oggi i beni comuni sono giuridicamente riconosciuti dal comune, tutte queste occupazioni nascono da una stagione di lotte sociali e ambientali: la questione della riconquista dello spazio urbano e di spazi di democrazia nasce dalle lotte sui rifiuti e dal loro intreccio con quelle contro l’austerity, che dal 2010 si erano sviluppate in Europa e in Italia criticando l’ideologia del debito e il regime neoliberale imposto al Sud Europa. L’esperienza comunitaria di Napoli nasce dall’intersezione tra lotte locali ed europee.

Margherita ha poi parlato della natura dei beni comuni di Napoli, ex-luoghi risignificati attraverso una forma di gestione e di uso collettivo, l’autogoverno. Si tratta di una risignificazione non solo rispetto al passato, visto che sono luoghi che hanno cambiato veste grazie a pratiche dal basso, ma che continua nel presente, perché continue e diverse sono le lotte che attraversano il territorio e rispetto alle quali i beni comuni si pongono. Un esempio è la lotta alla gentrificazione che sta cambiando il volto della città espellendo tantissime persone, tra migranti ed abitanti storici. Attraverso un processo di “autogoverno”, cioè di riflessione collettiva e di condivisione delle tante competenze di ciascuno, dal 2012 si è lavorato per costruire uno scritto, la dichiarazione di uso civico e collettivo urbano, per adattare al quadro della città i vecchi usi civici nati in comunità montane. Questa riflessione ha portato non tanto a immaginare chi governa, ma come si governa, ad esempio con un’assemblea e tramite consenso. Secondo Margherita, l’esperienza dei beni comuni si lega alla decrescita perché tenta di declinare concretamente quell’orizzonte politico desiderato creando spazi postcapitalistici, in cui vi sia la messa in comune dei mezzi di produzione.

· Mondeggi Fattoria senza padroni – Susanna Sarno

Susanna ha presentato Mondeggi, la Fattoria senza padroni, in cui una comunità di circa 300 cittadini e cittadine produce e scambia collettivamente olio, grano e altri prodotti agricoli a Bagno A Ripoli, in Toscana. La storia comincia da una tenuta di 78 ettari abbandonata da più di 20 anni dopo che l’amministrazione provinciale l’aveva acquistata dai proprietari. La tenuta, formata da 6 casali e da una villa medicea, era stata trasformata in una società agricola basata sulla monocultura. La piccola comunità originaria di Mondeggi aveva cominciato a coltivare la terra e a dedicarsi alla cura degli olivi per la produzione di olio che veniva scambiato gratuitamente, scontrandosi però con la resistenza delle istituzioni e subendo varie denunce. Tramite il PNRR, si era deciso di ristrutturare la tenuta e, per fortuna, la comunità di Mondeggi era stata il primo interlocutore, dovendo però poi legalizzarsi per poter continuare a dialogare con l’amministrazione. Così, la comunità di Mondeggi è riuscita ad evitare la vendita o la divisione della tenuta e oggi continua la sua attività: si producono olio e seminativi, dando a ciascuno la possibilità di prendersi cura di una parte di terreno e dividendo poi in parti uguali quanto prodotto. È uno spazio di cura del territorio ma anche delle persone che partecipano.

Spin Time Labs – Andrea Alzetta

Andrea Alzetta ha parlato di Spin Time Labs, una realtà abitativa, sociale e culturale aperta a tutte e tutti ma destinata in particolare a giovani, poveri e migranti. Si tratta di un palazzo di 18.600 metri quadri nel centro di Roma, la vecchia sede della previdenza sociale dei dipendenti pubblici poi lasciata nel completo degrado. Nata nel 2013 nel contesto dell’ultimo Tsunami Tour, l’ultima ondata di occupazione di case a Roma, l’idea era di non rendere l’occupazione un luogo chiuso, ma aperto, dove prima delle leggi del mercato venissero le persone. Si pensava che l’utilizzo del patrimonio pubblico a fini comuni fosse una soluzione di decrescita a fronte del fatto di continuare a costruire cemento e a rovinare il territorio. La realtà di Spin Time è molto legata all’ambito culturale, per esempio tramite la collaborazione con le tre università di Roma e l’accoglienza, negli anni, di 68 ragazzi e ragazze da 27 università di tutta Europa che hanno fatto la loro tesi su questa realtà. Il complesso dà ospitalità a 160 nuclei familiari di 28 nazionalità diverse e offre servizi culturali, formativi, assistenziali aperti al tutte e tutti: ad esempio, c’è una chiesa, dei centri di distribuzione alimentare, degli spazi per le feste, la redazione della rivista under 30 “Scomodo”. Con le parole di Andrea, è importante moltiplicare le riappropriazioni e gli incontri non tanto per fare rete, che è piena di buchi, ma per fare colla!

La discussione è proseguita intorno al tema della demercificazione dei mezzi di sussistenza come via di uscita dal capitalismo, un concetto centrale della decrescita. Le esperienze presentate nel tavolo sono esempi di pratiche per assicurare che le risorse necessarie al sostentamento di ognuno siano accessibili a tutte e tutti al di fuori delle dinamiche del mercato. Se questi “spazi di alternativa” si costruiscono su un tipo di scambio che non è fondato sulla moneta ma sul mutualismo e le relazioni, Margherita D’Andrea ha però sottolineato come ogni persona che li anima viva una contraddizione difficile da risolvere: nessuno è impermeabile alle dinamiche competitive del mercato e al sistema statale. Cercando di superare relazioni mercificanti tramite pratiche di riconquista di nuovi spazi come beni comuni è inevitabile interrogarsi anche su questo. Un esempio di un campo di conflitto è quello del diritto nel momento in cui si limita a tradurre queste realtà in dimensioni giuridiche, tipicamente quelle dell’assegnazione o della concessione, che le snaturano imponendo oneri e costi che una comunità fondata sul mutualismo non può sostenere se non riversandoli sulle persone che la attraversano. Margherita ha portato l’esempio di Napoli, in cui si è immaginato un nuovo strumento giuridico, l’uso civico e collettivo urbano, per permettere una traduzione quanto più possibile fedele alle pratiche della comunità.


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