Transizione giusta nella policrisi

Decrescita · venerdì, 17 mag 2024
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di Carlotta Paglia

Il passato 13 maggio Sabrina Fernandes, responsabile della ricerca all’Istituto Alameda, ha tenuto un seminario presso l’Istituto di Scienza e Tecnologia Ambientale (ICTA) dell’Università Autonoma di Barcellona intitolato “Transizioni giuste nella policrisi: alternative Latinoamericane al colonialismo verde”. Sabrina Fernandez è una sociologa ed economista politica brasiliana, ed è stata post-doctoral fellow presso l’Istituto Rosa Luxemburg Stiftung e presso il Centro di Studi Latinoamericani Avanzati. Ê un’attivista ecosocialista, membro del Patto Ecosociale del Sud, e la sua ricerca si concentra sulla transizione, l’America Latina e l'internazionalismo.

La ricercatrice ha esordito mostrando alcune immagini delle calamità naturali che stanno colpendo il Brasile in questi giorni, con allagamenti massicci nella provincia di Porto Alegre, che hanno sommerso un gran numero di abitazioni e che priveranno molte persone della propria casa. Fernandez ha sottolineato che questi eventi sono l’ennesima prova di come le conseguenze del cambiamento climatico e della distruzione ambientale ricadano in primo luogo sui paesi del Sud Globale. La relatrice ha poi evidenziato come questa situazione contribuisce alle “crisi di interdipendenza”, per cui quelle che vengono presentate come soluzioni al cambiamento climatico, di fatto creano ulteriori rischi. Lo dimostra l’accordo raggiunto alla COP28 secondo il quale le riparazioni dei danni legati ai disastri ambientali contribuiscono alla crezione di debito da parte dei paesi del Sud nei confronti dei paesi del Nord. Il Fondo Verde per il Clima, creato al fine di dare supporto finanziario ai paesi del Sud per azioni sia di mitigazione sia di adattamento alle conseguenze del cambiamento climatico, di fatto consiste per la maggior parte in investimenti sotto forma di prestiti. Un esempio di queste false soluzioni presentato dalla relatrice è quello di come il capitale definito “verde” sia in realtà in molti casi legato all’industria fossile. Infatti, sono le stesse compagnie petrolifere che si presentano come leader nel processo di decarbonizzazione. Auto-definendosi come compagnie che producono energia piuttosto che compagnie petrolifere, ed ampliando il proprio portfolio di investimenti, tuttavia sempre mantenendo la parte più consistente di essi nell’ambito dei combustibili fossili, queste compagnie ripuliscono la propria immagine per attirare investimenti e capitale. Un altro esempio è quello del processo definito di “de-risking”, per cui molti stati e l’Unione Europea stanno puntando sull’idrogeno, indirizzando verso questa industria investimenti consistenti, nonostante la mancanza di prove sui suoi effettivi benefici.

Le istanze sopra-citate, secondo la relatrice, evidenziano il fatto che la tecnologia è spesso presentata come la soluzione alla crisi ambientale e climatica. La visione tecno-ottimista ignora come l’attuale poli-crisi sia frutto del sovrapporsi di vari livelli di oppressione, che devono essere presi in considerazione in modo congiunto per poter definire soluzioni reali. Concentrandosi solo su un aspetto del problema, e perseguendo soluzioni tecnologiche che de-politicizzano il discorso intorno alla crisi climatica, si crea un contesto che favorisce l’imposizione di grandi progetti sulle comunità da parte di stati e corporations. Questo processo è facilitato dalla militarizzazione, che allo stesso tempo contribuisce all’aggravarsi della crisi climatica, ma anche dal discorso dell’aiuto umanitario, presentato dai paesi del Nord come aiuto incondizionato ai paesi del Sud per la realizzazione di una transizione verde, che però`non contribuisce in alcun modo a modificare le dinamiche di oppressione che stanno all’origine del problema.

La narrativa della sovranità nazionale, ha sottolineato la relatrice, gioca un ruolo fondamentale nella mancata realizzazione di una transizione giusta, o nella situazione attuale in cui si sta verificando una transizione ingiusta. Infatti, molti stati del Sud stanno insistendo sulla necessità di mettere fine allo sfruttamento delle proprie risorse da parte del Nord, o della Cina, attraverso il principio del “prima noi”, o “finalmente noi”. In questa visione, i paesi del Sud Globale dovrebbero essere attori primari del processo di estrazione e sfruttamento delle proprie risorse naturali, facilitando l’estrazione da parte delle compagnie petrolifere nazionali. Questa retorica, nota Fernandez, oltre a non tenere conto dell’attuale incapacità di stati come il Brasile di provvedere ai bisogni primari della popolazione, e quindi fallendo nel definire le giuste priorità, ignora che anche nelle compagnie petrolifere di stato, solo una percentuale è effettivamente di proprietà nazionale, mentre una buona parte degli shareholders è straniera.

Alla retorica della sovranità citata sopra, la relatrice ha contrapposto il concetto di sovranità ecologica, che pone la vita al centro, invece che il sistema produttivo, e che difende il diritto (della popolazione locale) di dire no. Questa idea si collega alla proposta di un paradigma post-estrattivista, incentrato sulla sovranità territoriale, contro la creazione di zone di sacrificio. Questo modello, ha precisato Fernandez, non è contrario all’uso delle risorse naturali in assoluto, ma si basa sulla distinzione tra estrattivismo ed estrazione. Quest’ultima implica la creazione di un meccanismo di riparazione e propone modelli agro-ecologici per ripopolare i territori e restaurare il benessere della natura, creando le condizioni perchè le persone possano avere una vita sostenibile e prospera fuori dai grandi centri urbani. Questa visione implica inoltre la riduzione della domanda e della produzione, un cambiamento nelle catene di produzione globale, e la creazione di “zone di estrazione” invece che di zone di sacrificio, attraverso processi decisionali democratici in merito all’ubicazione dei territori destinati all’estrazione delle materie prime. La relatrice ha poi menzionato la minaccia imperialista della finanziarizzazione della natura, di cui sono esempio le Isole Galapagos. Nel 2023, il governo dell’Ecuador è entrato in un accordo con la banca di investimento globale Credit Suisse, convertendo quasi 1.5 miliardi di euro di debito in un prestito a favore della natura, da rimborsare nei prossimi 18 anni, e che lo obbliga a fornire circa 16 milioni di euro all’anno per le politiche di conservazione. Fernandez richiama l’attenzione sulla necessità di adottare una prospettiva anti-imperialista che sia anche ecologica, nell’ottica di costruire soluzioni integrate e di affrontare i vari sistemi di oppressione in modo congiunto.


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